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Frittelle di San Martino, una bomba di sapore che stupirà tutti a Natale: la ricetta originale di nonna Ada

Soffici, zuccherate e profumate: le frittelle di San Martino sono il dolce simbolo dell’11 novembre in Sicilia.

Nel calendario siciliano, l’11 novembre ha un posto speciale. È la Festa di San Martino, ma prima ancora è un giorno che profuma di olio caldo, di patate dolci e di zucchero che scricchiola sotto i denti. In questa data, in tutta l’Isola, dalle colline dell’entroterra ai quartieri popolari delle città, si rinnova un rito che non ha bisogno di parole: si preparano le frittelle di patate, un dolce umile, nato dalla terra, che ha attraversato generazioni senza mai perdere la sua forza evocativa. Non a caso, ogni famiglia custodisce la sua ricetta, con piccole varianti che non toccano mai l’essenza: un impasto fatto di ingredienti poveri, lavorato con pazienza e fritto in olio bollente, mentre fuori l’autunno avanza e dentro casa si accendono i racconti. Quelle frittelle, morbide come nuvole, rappresentano qualcosa di più del semplice cibo: sono un simbolo di passaggio, di chiusura della stagione agricola, e l’inizio di un tempo più lento, più intimo.

La lavorazione dell’impasto e la cottura lenta che crea magia

Il segreto di queste frittelle non è solo negli ingredienti, ma nel gesto. Tutto comincia con le patate lesse, che devono essere ben schiacciate, senza grumi. È una fase che richiede calma, perché ogni grumo può rovinare la consistenza finale. Poi arriva la farina 00, il lievito di birra fresco e lo zucchero, che vanno mescolati con cura. Ma il cuore dell’impasto è il latte, che deve essere aggiunto a filo, lasciando che la massa lo assorba lentamente, senza fretta. A questo punto, entra in gioco la mano: l’impasto va lavorato, spinto, schiaffeggiato sul tavolo, quasi come se fosse una lotta gentile tra cuoco e materia. Quel movimento dà forza, crea elasticità, e definisce la struttura soffice che caratterizza ogni frittella riuscita.

Quel gesto che si ripete da generazioni (e che profuma di zucchero e infanzia) – www.dailyfood.it

Quando l’impasto inizia a respirare, lo si copre e si lascia lievitare per almeno due ore, aspettando che cresca come fosse vivo. Il volume triplica, e in quel momento si capisce che è pronto. La frittura, poi, è un atto che va seguito con rispetto: l’olio caldo ma non eccessivo, le cucchiaiate dosate a occhio, le mani bagnate per aiutarsi a staccare l’impasto. Le frittelle devono cuocere piano, rigirandole più volte per ottenere un colore dorato uniforme. Non devono bruciare, né gonfiarsi troppo. Serve equilibrio. Una volta scolate, passano subito nello zucchero semolato, che si aggrappa alla superficie ancora calda e forma quella crosticina croccante che le rende riconoscibili. Nessuna decorazione, nessuna glassa. Solo il gesto di rotolarle nello zucchero, come si faceva una volta, davanti al camino.

San Martino tra campi, vino e memoria d’infanzia

In Sicilia, San Martino non è solo una festa religiosa. È un confine stagionale, il momento in cui si chiude il ciclo del raccolto e si apre quello del riposo. Il vino novello è pronto, e si beve – lo sappiamo – accompagnato proprio dalle frittelle. Nei paesi agricoli, fino a qualche decennio fa, era il momento in cui i braccianti si fermavano, e le donne preparavano il dolce con quello che avevano: farina, patate e zucchero, appunto. Non servivano altro. E non serve altro, ancora oggi.

Durante il giorno di festa, i bambini aspettano in cucina che l’impasto sia pronto. I più piccoli, spesso, affondano le dita nello zucchero. Gli anziani raccontano episodi legati a un passato che resiste, fatto di vendemmie e processioni, di pentole grandi e odori forti. Ogni casa si riempie di un profumo preciso: quello dell’infanzia, della cucina della nonna, della tovaglia con le briciole. Le frittelle di San Martino diventano così un ponte tra le generazioni, un modo per raccontare la terra senza bisogno di parole.

In alcune zone, la tradizione vuole che si offrano anche ai vicini, che si faccia “assaggiare” il proprio impasto, come segno di apertura e comunità. Una forma di solidarietà domestica che oggi sembra lontana, ma che sopravvive proprio in questi piccoli riti stagionali. Il dolce, in fondo, è solo il mezzo. Quello che conta è l’occasione che crea, la sospensione del tempo attorno a un tavolo, il rumore dell’olio che frigge, le mani che si passano la ciotola dello zucchero. È lì che si nasconde il vero significato del giorno di San Martino. Non in una ricetta perfetta, ma nella sua ripetizione affettuosa anno dopo anno, tra le mura della propria casa.

Diego Rossi

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