Nel cuore della cucina emiliana, il ragù alla bolognese conserva un ruolo centrale, trasmettendo da generazioni il senso di casa e di tempo speso attorno a un fornello lento. Non a caso, tra chi lo prepara seguendo una ricetta di famiglia c’è Orietta Berti, che tra tournée e apparizioni televisive non ha mai perso il legame con i sapori delle sue origini. La versione che propone affonda le radici nei pranzi della domenica, dove il profumo del soffritto si mescolava al borbottio del sugo, lasciando ricordi ancora vivi.
La variante di Orietta tra burro, pancetta e sei ore di cottura
Nel piatto di Orietta c’è tutto: carne macinata, pancetta, verdure fresche, vino, ma soprattutto un’aggiunta precisa che cambia il tono del piatto sin dall’inizio. Una noce di burro abbondante, circa 80 grammi, messa a sciogliere con l’olio nella casseruola, prima ancora di unire cipolla, carota e sedano. Questo passaggio, racconta lei stessa, le è stato tramandato dalla nonna, che sosteneva che il burro “nutre” il ragù e lo rende più avvolgente, senza coprire i sapori.
Il procedimento, pur nella sua apparente semplicità, richiede attenzione. Dopo il soffritto, si rosola la pancetta a cubetti con la carne macinata — in prevalenza maiale, con una quota più piccola di manzo — e si sfuma il tutto con due bicchieri di vino, a scelta tra bianco o rosso, a seconda di che nota si vuole dare al sugo.

Quando l’alcol è evaporato, entra in scena la passata di pomodoro, circa 700 grammi, diluita con un bicchiere e mezzo d’acqua. Poi si aggiungono alloro, salvia, sale e pepe, e da lì comincia la lunga cottura: almeno sei ore a fuoco basso, con il coperchio semiaperto e mescolando spesso. Secondo Orietta, è il tempo il vero alleato di questa preparazione, che non ha scorciatoie. La consistenza finale deve risultare densa, scura, senza parti acquose né grasso in superficie.
A fine cottura, il ragù è pronto per condire tagliatelle all’uovo, lasagne o anche semplicemente un piatto di pasta corta.
Una ricetta che unisce memoria e tecnica
La particolarità della versione firmata Orietta Berti è proprio nel suo equilibrio tra tecnica rigorosa e memoria familiare. Il burro, elemento poco frequente nelle versioni più codificate, entra con forza a caratterizzare il sapore finale, più vellutato e pieno. Anche la scelta della pancetta arrotolata, al posto del guanciale o della salsiccia, contribuisce a un risultato più delicato.
Tra gli elementi che rendono questo ragù unico c’è anche la presenza del manico casalingo. Orietta racconta di cucinarlo ancora oggi con la stessa pentola in ghisa della madre, e di farne grandi quantità da congelare o regalare. “È una di quelle cose che ti riportano subito a casa”, ha detto in un’intervista. La ricetta è stata raccolta da fan e riviste, ripresa anche da cuochi amatoriali che ne apprezzano la semplicità nella costruzione, ma anche la sua resa finale.
Il ragù in questione non stravolge la tradizione bolognese, ma la personalizza con tocchi che riflettono un’identità precisa, lontana da mode gastronomiche e vicina alla cucina del quotidiano. In un momento in cui molte ricette vengono riscritte per assecondare velocità o nuove tendenze, questa rimane ancorata ai ritmi di una volta. E proprio in questa lentezza, nel ripetere ogni volta gli stessi gesti, trova la sua forza.
Chi l’ha provata conferma: il ragù di Orietta è ricco, compatto, senza eccessi, e si lascia mangiare anche solo con un pezzo di pane caldo. Un piatto antico, sì, ma ancora capace di dire qualcosa.