Nel cuore dell’Abruzzo, tra le dolci colline e l’altopiano di Navelli, cresce un tesoro gastronomico noto come lo zafferano dell’Aquila DOP, definito da molti “oro rosso” per il suo valore economico e culturale. Questo prodotto unico, simbolo di tradizione e resilienza, continua a rappresentare un’eccellenza italiana riconosciuta a livello internazionale.
La storia e l’origine dello zafferano dell’Aquila
L’arrivo dello zafferano in Abruzzo risale al XIV-XV secolo, quando un monaco domenicano appartenente alla famiglia Santucci di Navelli introdusse i bulbi in questa terra fertile. Proveniente dall’Asia Minore e diffuso attraverso il Nord Africa e la Spagna, lo zafferano trovò nell’altopiano di Navelli un habitat ideale per prosperare grazie al clima temperato e al terreno carsico che evita ristagni d’acqua, condizioni indispensabili per la coltivazione di questa pianta tubero-bulbosa.
Storicamente, alla fine del XIX secolo, la coltivazione si estendeva su circa 500 ettari con una produzione superiore alle 4 tonnellate annue. Tuttavia, nel corso del XX secolo, la produzione subì una significativa contrazione, scendendo a 1,5 tonnellate nel 1930. Un momento critico arrivò a metà secolo, quando la coltivazione rischiò quasi l’estinzione a causa della scarsa redditività: i bulbi venivano persino utilizzati come mangime per gli animali.

La salvezza dello zafferano dell’Aquila si deve all’impegno di Silvio Salvatore Sarra, un agricoltore di Civitaretenga che, nonostante le difficoltà economiche, continuò a coltivare la pianta preservandone la tradizione. Nel 1971 fondò la Cooperativa Altopiano di Navelli, che oggi conta circa 100 soci e ha avuto un ruolo fondamentale nel rilancio e nella valorizzazione dello zafferano locale.
L’attenzione mediatica, con apparizioni televisive storiche come quella nella trasmissione Portobello di Enzo Tortora, contribuì a far conoscere questo prodotto pregiato al grande pubblico. Nel 2005 lo zafferano dell’Aquila ottenne il prestigioso riconoscimento DOP (Denominazione di Origine Protetta), un sigillo di qualità che tutela la produzione esclusiva limitata a 13 comuni della provincia di L’Aquila, tra cui Barisciano, Fagnano Alto, Navelli e Molina Aterno.
Tecniche di coltivazione e caratteristiche uniche
La produzione dello zafferano dell’Aquila segue un rigoroso ciclo agricolo che si svolge ad altitudini fino a 1000 metri. La preparazione del terreno inizia a novembre con un’aratura profonda, accompagnata da una fertilizzazione naturale con letame, vietando qualsiasi fertilizzante chimico durante la fase vegetativa. I bulbi vengono interrati ad agosto sulle file distanti circa 20 centimetri, con una densità di circa 600.000 bulbi per ettaro.
Le prime foglie emergono con le piogge di settembre, mentre la fioritura avviene in ottobre. La raccolta dei fiori avviene nelle prime ore del mattino prima della loro completa apertura, per preservarne intatta la qualità. Gli stimmi rossi vengono poi essiccati tramite una tostatura su brace di legna di mandorlo o quercia, processo che riduce il peso degli stimmi a un sesto, mantenendo un’umidità residua tra il 5 e il 10%. Per ottenere un chilogrammo di zafferano sono necessari circa 200.000 fiori.
Questo processo tradizionale conferisce allo zafferano dell’Aquila un aroma inconfondibile, un colore intenso e un sapore delicato che lo rendono un ingrediente prezioso in cucina.
Nella cucina abruzzese, lo zafferano dell’Aquila viene impiegato in ricette tipiche come lo scapece alla vastese e le cozze allo zafferano, esaltando i sapori del pesce con la sua nota speziata e raffinata. Oltre all’uso culinario, è apprezzato nella produzione di liquori tipici locali, contribuendo alla valorizzazione del territorio anche sotto il profilo enogastronomico.
Il riconoscimento del prodotto ha travalicato i confini regionali e nazionali, con omaggi culturali che testimoniano la sua importanza: nel 2008 la Repubblica Italiana gli ha dedicato un francobollo e lo zafferano è stato citato nel film d’animazione Ratatouille della Pixar, dove viene definito “eccellente”.