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Dolce o salato, dimmi cosa preferisci e ti dirò chi sei: gli psicologi spiegano cosa c’è veramente dietro alla scelta

Quando la fame è già finita, ma il cucchiaio punta al dessert: i meccanismi psicologici che spiegano il richiamo dei dolci

by Diego Rossi
14 Agosto 2025
in Food
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Dolce o Salato

Dolce o salato, dimmi cosa preferisci e ti dirò chi sei - dailyfood.it

Sei tra quelli che non rinunciano al dolce, nemmeno dopo un pasto abbondante? Tiramisù, mousse al cioccolato, biscotti e gelato sembrano avere un posto riservato nella tua mente, prima ancora che nello stomaco. La tendenza a cercare sapori zuccherini non è solo una preferenza personale: la scienza ha dimostrato che alla base ci sono meccanismi cerebrali e strategie evolutive che ci guidano in automatico, anche se non ce ne rendiamo conto.

Il cervello ha una stanza libera per il dessert: il fenomeno della “seconda pancia”

Hai mai sentito parlare di sazietà sensoriale specifica? È il nome che gli esperti danno a quella strana capacità di “trovare spazio” per il dolce anche quando siamo sazi. Il cervello, infatti, gestisce i diversi gusti come se occupassero stanze separate: il salato ha la sua, l’amaro un’altra, e il dolce… resta libero. Così, dopo un pranzo abbondante, è del tutto normale desiderare una fetta di torta: la fame non è tornata, è solo un’altra zona del cervello che si attiva.

Questa funzione ha un’origine evolutiva: i nostri antenati, per sopravvivere, dovevano sfruttare ogni fonte di energia disponibile. Oggi però, in un mondo pieno di dolci a portata di mano, quello che un tempo era un vantaggio può trasformarsi in una trappola zuccherina. Ma non è un segno di debolezza: è il riflesso di un sistema sofisticato e ben rodato.

Dolce o Salato
Il dolce come risposta emotiva: una strategia antica – dailyfood.it

Quando sei stressato, triste o ansioso, capita spesso che il primo pensiero vada a qualcosa di dolce. Non è un caso. Gli alimenti zuccherini attivano rapidamente il sistema della ricompensa cerebrale, rilasciando dopamina e regalando una sensazione di sollievo immediato. È come premere un interruttore per uscire da un momento negativo.

Questo effetto è temporaneo, ma funziona. Chi ricorre spesso ai dolci potrebbe aver imparato inconsciamente che si tratta di una strategia efficace per regolare le emozioni. In altre parole: non è mancanza di autocontrollo, è sopravvivenza emotiva. Tuttavia, usare sempre lo stesso “trucco” può rendere più difficile sviluppare altre forme di gestione del malessere, creando un circolo che si autoalimenta.

Il dolce come tratto caratteriale: esiste davvero il “tipo psicologico”?

Alcuni studi suggeriscono che chi preferisce sistematicamente i dolci abbia una personalità più aperta e socievole, spesso più orientata alla gratificazione immediata. Ma attenzione: correlazione non è causazione. Non possiamo dire che il cioccolato renda gentili, né che essere affettuosi spinga a scegliere la panna cotta.

Tuttavia, il comportamento alimentare può rivelare tendenze profonde. In un’epoca in cui tutto è progettato per offrire gratificazioni istantanee — social, streaming, delivery — il dolce diventa il campione perfetto della risposta veloce. Il cervello lo sa e lo sceglie. È una risposta adattiva, non una debolezza.

Nella vita moderna, dove le giornate scorrono tra scadenze, impegni e fatica mentale, cercare un biscotto nel pomeriggio non è un gesto da colpevolizzare: è una risposta logica a un bisogno reale. Il cervello ha bisogno di energia disponibile subito e i dolci lo garantiscono, uniti spesso a una piccola dose di benessere chimico.

In contesti sociali, poi, il dolce assume un ruolo ancora più interessante: rafforza i legami, accompagna celebrazioni, diventa strumento di connessione. Non stupisce che alcune persone siano più sensibili a questa dimensione. Il dolce, insomma, è anche relazione.

Una questione di abitudini, contesto e memoria

Spesso chi appare “dipendente dai dolci” è semplicemente immerso in un ambiente che li propone continuamente. Distributori automatici, snack a portata di mano, ritmi caotici che favoriscono il comfort food. Oppure si tratta di schemi appresi da bambini, che resistono nel tempo. Il contesto fa la differenza, e non si può ridurre tutto al carattere o alla volontà.

Fattori come la disponibilità del cibo, il metabolismo, lo stato emotivo o la memoria associativa (come le merende della nonna) influenzano profondamente il comportamento alimentare. Ogni scelta a tavola è il risultato di una rete complessa di elementi, non di una semplice “voglia di dolce”.

La prossima volta che ti trovi a scegliere tra frutta e tiramisù, sappi che il tuo cervello sta facendo un calcolo complesso, e non c’è nulla di sbagliato in questo. Le preferenze alimentari non sono debolezze, ma strumenti di adattamento, emozione, identità.

Quello che mettiamo nel piatto racconta chi siamo, dove siamo cresciuti, come stiamo vivendo. La scienza ce lo conferma: non esiste il gene del goloso, ma un sistema intelligente che, tra dopamina, memorie e connessioni sociali, fa il possibile per offrirci piacere, sostegno e sopravvivenza.

E allora, la prossima volta che qualcuno ti dice che “esageri con i dolci”, puoi rispondere con un sorriso: “Sto solo seguendo una raffinata strategia neurobiologica”. E gustarti quel biscotto.

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