A Torino, patria di molte invenzioni gastronomiche, i tramezzini rappresentano un simbolo autentico della cultura cittadina. Nati negli anni ’20 nelle sale eleganti dei caffè storici, hanno conquistato generazioni con la loro semplicità e con un pane morbido pensato apposta per accogliere farciture di ogni tipo. Fulvio Marino, volto noto della panificazione televisiva, ha scelto il capoluogo piemontese come tappa del suo percorso attraverso i lievitati più rappresentativi del mondo. Con un impasto dedicato e una lavorazione precisa, ha mostrato come si ottiene il pane perfetto per questa specialità, ancora oggi protagonista di tavole e merende in tutta Italia.
Le radici dei tramezzini torinesi
La storia dei tramezzini torinesi inizia ufficialmente nel 1925, quando il caffè Mulassano, in piazza Castello, introdusse questo panino bianco, privo di crosta, ispirandosi ai sandwich inglesi. L’Italia del dopoguerra cercava nuove forme di convivialità, e il tramezzino rispondeva con un formato pratico, elegante e accessibile. Non a caso Gabriele D’Annunzio ne coniò il nome, preferendo tramezzino al più esterofilo “sandwich”, per sottolinearne la natura di spuntino “tra un pasto e l’altro”.

Da allora i tramezzini hanno preso posto nelle abitudini quotidiane dei torinesi e non solo. Pane soffice, sempre fresco, tagliato in triangoli e pronto a essere riempito con uova, tonno, verdure o salumi: una formula che ha attraversato le epoche senza perdere attualità. Torino ne ha fatto un vero biglietto da visita gastronomico, con bar e caffè che ne custodiscono ancora oggi le ricette originali, tramandate di generazione in generazione.
Fulvio Marino, nel ripercorrere questa tradizione, non si limita a ricordarne la storia: mostra come la cura dell’impasto sia determinante. Dalla scelta della farina 0, al giusto equilibrio tra acqua, lievito e burro, fino ai tempi di lievitazione, ogni passaggio diventa essenziale per ottenere quel pane soffice che rende unici i tramezzini torinesi. Non è solo cucina, ma un vero rito che conserva intatto lo spirito di un’epoca.
Il metodo di Fulvio Marino e la farcitura
Nel suo laboratorio, Marino parte dalla base: un impasto con farina, acqua, lievito e zucchero, arricchito poi dal burro per dare morbidezza. Dopo una prima lievitazione, l’impasto prende forma in uno stampo da pane in cassetta. La cottura a forno statico a 200 gradi per quaranta minuti garantisce un pane compatto, senza croste dure, ideale per essere affettato e conservato umido tra fogli di carta bagnata.
La farcitura, come racconta Marino, resta legata alle versioni storiche torinesi. Tonno e maionese con uovo sodo e lattuga sono un grande classico, così come peperoni sott’olio con acciughe, un abbinamento dal sapore intenso che richiama la tradizione piemontese. Ogni ingrediente viene scelto con attenzione, non tanto per ricercare l’esotico, ma per rimanere fedeli a una semplicità autentica che ha fatto scuola.
Il pubblico, seguendo le dimostrazioni, scopre che dietro l’apparente banalità del tramezzino si nasconde un lavoro di precisione. Dal taglio delle fette al modo di spalmare la crema, ogni dettaglio contribuisce all’equilibrio finale. Ed è proprio questo che continua a renderlo uno spuntino intramontabile, capace di adattarsi ai gusti moderni senza tradire la sua origine torinese.