In Europa si torna a parlare di contaminazione alimentare dopo la pubblicazione di uno studio condotto a Vienna, che analizza il contenuto di pesticidi nei prodotti da forno e nei derivati dei cereali. I risultati hanno sorpreso anche gli stessi ricercatori: su 48 campioni analizzati tra pane, pasta e biscotti, nessuno è risultato privo di PFAS o di acido trifluoroacetico (TFA), due composti chimici legati a effetti tossici sull’organismo umano. Le concentrazioni rilevate oggi risultano triplicate rispetto a quelle osservate otto anni fa. Una situazione che non riguarda solo l’Austria, ma che tocca da vicino anche l’Italia, dove la questione PFAS è già oggetto di monitoraggi ambientali, in particolare nel nord-est.
Cosa sono PFAS e TFA e perché preoccupano i ricercatori
I PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) e l’acido trifluoroacetico sono usati da decenni in agricoltura e industria per la loro resistenza ai processi di degradazione. Questo li rende persistenti, in grado di restare nell’ambiente e accumularsi nell’organismo. Lo studio austriaco ha evidenziato valori particolarmente alti nei biscotti al burro, ma anche nei prodotti da forno convenzionali, che mostravano una presenza di contaminanti tre volte superiore rispetto a quelli di tipo biologico.

Il TFA, nello specifico, è una sostanza altamente solubile che si infiltra nelle falda acquifere e si diffonde con facilità nel suolo. Classificato di recente come tossico per la salute riproduttiva, è stato associato a problemi di fertilità sia maschile che femminile. La sua capacità di contaminare l’acqua e, di riflesso, i raccolti cerealicoli, contribuisce a un’esposizione costante e non visibile, aggravata dalla mancanza di normative aggiornate. L’EFSA ha annunciato una revisione dei limiti entro il febbraio 2026, ma molti chiedono un intervento anticipato, viste le evidenze accumulate.
L’Italia non è esclusa: dalla contaminazione dell’acqua a quella degli alimenti
Il caso più noto in Italia resta quello del Veneto, dove la presenza di PFAS nelle acque potabili ha spinto le autorità a installare sistemi di filtraggio avanzati. Ma il problema non è locale: la contaminazione da pesticidi nei derivati del grano interessa l’intero territorio nazionale, anche se mancano ancora studi sistematici su scala alimentare.
Il nodo centrale è la trasversalità della contaminazione: pane integrale, pane bianco, prodotti artigianali e industriali mostrano residui di fitofarmaci, anche in presenza di concentrazioni considerate legali. Lo conferma un’indagine del 2022 nel Regno Unito, che ha riscontrato la presenza di glifosato e altre sostanze nel 50% del pane venduto nei supermercati. Alcuni campioni contenevano più di due principi attivi contemporaneamente, a dimostrazione della complessità del fenomeno.
In Italia, il grano importato da Paesi con legislazioni meno restrittive viene spesso usato per la produzione di pasta e prodotti da forno, aumentando i margini di rischio. Il pane, alimento centrale nella dieta mediterranea, si ritrova così al centro di una criticità silenziosa, che coinvolge l’ambiente, la salute pubblica e la fiducia dei consumatori. La richiesta sempre più forte è di tracciabilità trasparente, limiti aggiornati e controlli più serrati sull’intera filiera. Perché, oggi, anche un gesto semplice come spezzare il pane può raccontare una storia ben più complessa di quanto sembri.