Sempre più persone scelgono di approcciarsi a una dieta più salutare e corretta, per il benessere del corpo e della mente, veicolati proprio dal cibo. Nell’epoca moderna, infatti, l’accesso al fast food e ai cibi ultraprocessati è ormai quotidiano e spesso non se ne può fare a meno.
Ma cibi sempre più chimici, ingegnerizzati e industriali finiscono col lasciare nel nostro corpo tracce silenziose, che si accumulano giorno dopo giorno col consumo eccessivo. E non stiamo parlando solo dell’apporto calorico o dei grassi presenti, ma anche di altre sostanze che col tempo danneggiano per intero il nostro corpo.
I cibi da evitare per avere analisi perfette
Un nuovo studio pubblicato su PLOS Medicine ha acceso i riflettori sui cibi ultraprocessati, rivelando le tracce lasciate da questi alimenti, molto durature e profonde. Sia il nostro sangue che le nostre urine possono raccontare molto più di quanto pensiamo e portano i segni lasciati da quello che ingeriamo quotidianamente.

In pratica, i nostri fluidi corporei conservano una firma chimica ben precisa legata a ciò che mangiamo ogni giorno, dal cibo fresco a quello pre-confezionato. Ogni alimento lascia delle tracce nel corpo, questa non è una vera novità, ma quello che stupisce è la precisione con cui si possono riconoscere.
Alla guida della ricerca c’è Erikka Loftfield, epidemiologa che ha analizzato i campioni di sangue e urina di 718 persone sane, tra i 50 e i 74 anni. L’intento era proprio scoprire quanto la loro alimentazione fosse segnata dalla presenza di cibi ultraprocessati e i risultati sono stati tutt’altro che trascurabili.
I partecipanti hanno fornito campioni a sei mesi di distanza e riportato in dettaglio, in sei occasioni, tutto ciò che avevano mangiato il giorno precedente. I ricercatori hanno poi utilizzato il machine learning per associare un punteggio metabolico al livello di consumo di cibi ultraprocessati e metterli in relazione.
In media, circa il 50% delle calorie giornaliere di ciascun soggetto proveniva da cibi industriali, con punte estreme all’82%, mentre alcuni si fermavano al 12%. Più era alto il consumo, più la dieta risultava povera di fibre e proteine, ma ricca invece di zuccheri, grassi e carboidrati raffinati.
Lo studio ha identificato centinaia di metaboliti, le tracce lasciate dal cibo ultraprocessato appunto, nei campioni analizzati dalla ricerca, creando un graduatoria standard per tutti . Ne bastano pochi, infatti, per ottenere un punteggio polimetabolico efficace, cioè 28 nel sangue o 33 nelle urine, in grado di prevedere la qualità dall’alimentazione.
Alcuni metaboliti sono particolarmente significativi, come la molecola associata a un maggior rischio di diabete di tipo 2, nel sangue di chi consumava più ultraprocessati, In alcuni casi, invece, le urine contenevano tracce chimiche riconducibili al packaging degli alimenti, non al cibo in sé, dimostrandone anche la scarsa sicurezza alimentare.