Il biossido di titanio (TiO₂), conosciuto anche con la sigla E171, è stato vietato in Europa negli alimenti dal 2022 a causa dei suoi effetti potenzialmente cancerogeni. Nonostante il divieto, una recente ricerca ha rilevato tracce significative della sostanza nei campioni di latte materno, nei latti animali e nelle formule artificiali per neonati. Il dato sorprende non solo per la quantità rilevata, ma soprattutto per il fatto che si tratti di micro e nanoparticelle ormai penetrate nel ciclo vitale umano.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, è stato condotto da un team congiunto di ricercatori francesi appartenenti a istituzioni come INRAE, CNRS e AP-HP. Il gruppo ha monitorato campioni provenienti da varie fonti, impiegando tecniche avanzate di spettrometria di massa e fluorescenza a raggi X per analizzare la presenza di derivati del TiO₂ come rutile, anatasio, e in misura minore pseudobrookite e titanite.
Tutti i latti analizzati risultano contaminati, anche quelli per neonati
I dati emersi dalla ricerca parlano chiaro. In tutti i campioni di latte analizzati – materno, animale o in polvere – sono state individuate nanoparticelle di TiO₂. Non fanno eccezione nemmeno i prodotti biologici, pastorizzati o formulati per l’infanzia. Nel caso dei latti artificiali destinati ai neonati, l’83% dei campioni analizzati conteneva il minerale. Il che significa che, nonostante il divieto alimentare, il biossido continua a raggiungere i tessuti mammari e da lì a trasferirsi nel latte.

Le quantità rilevate variano, ma restano comunque significative: si va da sei milioni a quasi quattro miliardi di particelle per litro nei latti materni e formula, e da 16 a 348 milioni nei latti animali. Le particelle individuate, di dimensioni micro e nano, sono in grado di attraversare le barriere biologiche, come la placenta e il sistema mammario, e quindi raggiungere anche i feti e i neonati in fase di allattamento.
Questo scenario conferma la pervasività ambientale del biossido di titanio, che – come ipotizzano i ricercatori – non proviene più solo da fonti alimentari, ma anche da vernici, rivestimenti industriali, cosmetici e materiali di uso quotidiano. Una volta rilasciato, il composto si disperde nel suolo, nell’aria e nell’acqua, contaminando a catena gli esseri viventi.
Le domande ancora aperte sulla sicurezza e le origini della contaminazione
La presenza sistemica del TiO₂ nel latte apre una serie di interrogativi scientifici e sanitari. Secondo Anne Burtey, una delle autrici dello studio, è urgente “interrogarsi sugli effetti di questa esposizione nei neonati e, più in generale, nei consumatori di ogni età”. Perché se la via alimentare è stata in parte bloccata dal divieto europeo, resta un buco nero sulle origini ambientali della sostanza.
A rendere il quadro ancora più preoccupante è la difficoltà nel tracciare le fonti secondarie di contaminazione, spesso legate a processi industriali, trattamenti di superficie e prodotti per la casa. Lo studio, in questo senso, rappresenta un primo passo scientifico per documentare un fenomeno che finora era ipotizzato, ma mai confermato in modo così esteso.
I ricercatori invitano a non sottovalutare il problema: se il TiO₂ entra nel latte, può raggiungere i tessuti in sviluppo e interferire con la crescita cellulare. Per questo, suggeriscono un approfondimento urgente sugli effetti a lungo termine, soprattutto nei bambini, e una mappatura più chiara delle fonti di emissione.
Il biossido di titanio, oggi come ieri, continua a circolare nel corpo umano, al di là delle etichette, degli scaffali e dei divieti. E stavolta lo fa nel nutrimento più naturale che esista: il latte.