L’aroma intenso, riconoscibile e pungente del tartufo ha conquistato le tavole italiane e internazionali. Ma in molti casi, ciò che viene venduto come prodotto “al tartufo” non ha mai incontrato un tartufo vero. Dentro salse, paté e oli profumati si nasconde quasi sempre un aroma sintetico, ottenuto in laboratorio da sostanze petrolchimiche. Il nome poco noto – bismetiltiometano – racconta già abbastanza: si tratta di un composto artificiale che mima l’odore del tartufo, ingannando i sensi e aggirando le aspettative dei consumatori.
Il bismetiltiometano e il finto profumo del lusso
Il bismetiltiometano è una molecola solforata che, nei veri tartufi, compare in piccole dosi naturali. Nei prodotti industriali, invece, viene riprodotta artificialmente a partire da processi chimici legati alla raffinazione del petrolio. Sebbene autorizzata dalle normative europee come “aroma di tartufo”, questa sostanza non ha nulla a che vedere con la complessità aromatica del fungo autentico.
Il tartufo vero contiene oltre 40 composti aromatici, ognuno con una funzione olfattiva specifica. Il bismetiltiometano, da solo, non può replicare questa complessità. Il risultato è un odore forte ma piatto, riconoscibile ma privo di profondità. Non è raro che chi assaggia questi prodotti senta un sapore invadente, più simile a un solvente che a un ingrediente naturale.

L’illusione olfattiva si estende anche all’aspetto: piccoli frammenti scuri simili a tartufo vengono spesso inseriti nei vasetti solo per rinforzare l’idea visiva dell’autenticità, pur non contribuendo davvero al gusto. Così, creme e oli dal prezzo accessibile si moltiplicano sugli scaffali, costruendo un mercato parallelo dove il tartufo è solo un’idea, non una presenza reale.
Etichette, prezzi e segnali: come evitare l’inganno
Il modo più diretto per smascherare un prodotto finto è leggere con attenzione l’etichetta. Se compare la dicitura “aroma di tartufo”, si tratta quasi sempre di aroma sintetico. Solo la scritta “aroma naturale di tartufo” indica la presenza di estratti ricavati direttamente dal fungo. Ma la differenza, spesso, è scritta in piccolo o formulata in modo ambiguo.
Altro indizio fondamentale è il prezzo. Il tartufo vero è raro, stagionale, difficile da raccogliere. Un prodotto che costa pochi euro difficilmente può contenerne una quantità significativa. La raccolta del tartufo richiede tempo, addestramento dei cani e cura del territorio: elementi che non si riflettono nei prezzi stracciati delle linee industriali.
Molti produttori ricorrono anche a etichette suggestive, con immagini di tartufi o diciture come “con tartufo nero”, salvo poi inserire solo tracce visive, senza impatto reale sul gusto. Per difendersi da questi trucchi, conviene acquistare da produttori certificati, magari legati a zone storiche di raccolta come Umbria, Marche, Abruzzo o Piemonte.
Saper leggere oltre il marketing è oggi una competenza necessaria. L’educazione alimentare passa anche dalla capacità di riconoscere ciò che è autentico, e di scegliere in base alla qualità, non solo all’apparenza.
Il rischio più grande, oltre al danno per il palato, è la svalutazione della cultura tartufigena italiana. Intere aree rurali vivono grazie alla raccolta e lavorazione del tartufo. Se il consumatore si abitua a un gusto finto, anche il tartufo vero perde valore. E con lui, perde valore anche il lavoro di chi da decenni preserva un sapere antico e legato alla terra.