Se vai a cena fuori e ti trovi nel conto una voce chiamata coperto, potresti pensare sia normale. In molte zone d’Italia lo è. Ma non dappertutto. In Lazio, per esempio, una legge del 2006 lo vieta. Eppure la pratica continua indisturbata. In teoria dovrebbe servire a coprire i costi di pane, tovagliato, posate e pulizia del tavolo, ma nella realtà il coperto è spesso percepito come un modo per aumentare il conto finale, soprattutto da chi arriva dall’estero e non è abituato a questa voce. La legge nazionale permette il coperto, a patto che sia indicato chiaramente sul menu. Alcune regioni però hanno scelto un’altra strada, come appunto il Lazio, che da quasi vent’anni lo ha messo fuorilegge.
Origini medievali e pratiche attuali
Il termine coperto nasce nel Medioevo. All’epoca indicava letteralmente il diritto ad avere un posto a sedere, un piatto, una forchetta, un tetto — insomma: il minimo sindacale per mangiare. Il cibo, spesso, i clienti lo portavano da casa. Quel “coperto” oggi non esiste più, ma è rimasta la voce in bolletta, a volte di 1-2 euro, a volte anche di 5 euro a testa nei ristoranti turistici. In certi locali si somma al servizio, in altri lo sostituisce. Alcuni ristoratori lo giustificano come un piccolo contributo ai costi fissi. Altri, specialmente quelli che lavorano con turisti, lo hanno eliminato del tutto, incorporando i costi nel prezzo delle pietanze. In ogni caso, secondo il Codice del Consumo, il coperto va segnalato con precisione, visibile e prima della consumazione. Se manca, il cliente può contestarne l’addebito o anche rifiutarsi di pagarlo.

Eppure, nonostante tutto questo, la voce continua a comparire in moltissimi menu. Il motivo? Spesso economico. Pochi controlli, incassi costanti e sanzioni rare portano tanti a “rischiarla”.
Il caso del Lazio: vietato ma presente
Nel Lazio, il coperto è vietato per legge dal 2006. L’articolo 16 della legge regionale n. 21 lo dice chiaramente: non si può addebitare. Si può invece inserire la voce “servizio”, che resta lecita. Eppure, chi cena a Roma lo sa: la voce “coperto” è ancora ovunque. Nessun mistero. Basta fare due conti.
La sanzione minima per chi viola la norma è di 2.500 euro, la massima 7.500. Prendiamo un ristorante medio con 100 coperti e un addebito di 3 euro a persona: bastano 8-10 giorni per incassare quanto basta a coprire la multa più bassa. Visti i pochi controlli effettivi, il gioco sembra valere la candela.
Nel frattempo, i clienti — italiani o stranieri — continuano a trovarsi davanti quella voce. Alcuni la ignorano, altri protestano. Ma la regola è chiara: se non è scritta nel menu, non si paga. E nel Lazio, non dovrebbe proprio esserci. Il paradosso è che in molti casi, persino con l’indicazione nel menu, la voce resta formalmente illegittima. Una zona grigia dove, da quasi vent’anni, tanti ristoratori scelgono di restare.