Chi non ha mai ceduto, almeno una volta, al fascino dei risotti pronti in busta? Bastano dieci minuti, un po’ d’acqua calda e il pranzo è servito. Una soluzione perfetta nelle giornate di corsa, quando il tempo per cucinare è poco e la fame è tanta. Ma quanto è sano davvero quel piatto così cremoso e profumato?
Gli esperti invitano alla prudenza. Dietro la praticità di questi prodotti si nasconde infatti una lista di ingredienti tutt’altro che rassicurante. Additivi, grassi idrogenati, esaltatori di sapidità e una quantità di sale ben oltre le raccomandazioni giornaliere sono solo alcune delle sorprese che si possono trovare leggendo con attenzione l’etichetta.
La differenza rispetto a un risotto preparato in casa non è solo di sapore, ma anche di equilibrio nutrizionale. Dove la cucina tradizionale punta sulla semplicità e sulla qualità degli ingredienti, le versioni industriali cercano invece di compensare la mancanza di freschezza con aromi e additivi.
Cosa si nasconde dietro l’etichetta dei risotti pronti
Uno degli elementi più critici è il sale. In una singola porzione di risotto pronto possono esserci fino a 4,5 grammi di sale, quasi l’intero fabbisogno giornaliero consigliato dall’OMS. Considerando che nella dieta media italiana il sodio è già in eccesso, questi prodotti rischiano di contribuire a un consumo troppo elevato, con effetti negativi sulla pressione e sulla salute cardiovascolare.
Altro punto debole sono i grassi vegetali, spesso indicati genericamente in etichetta. Dietro questa definizione si nascondono talvolta grassi idrogenati , usati per dare cremosità e prolungare la conservazione, ma noti per aumentare il colesterolo “cattivo” nel sangue.
Poi ci sono gli esaltatori di sapidità, come il glutammato monosodico, che intensifica il gusto ma può provocare disturbo in soggetti sensibili e non è certo un ingrediente salutare. A questo si aggiungono coloranti, conservanti e aromi artificiali: un cocktail di sostanze che, pur consentite dalla legge, allontanano il prodotto dall’idea di cucina genuina.

E non mancano le sorprese “dolci”: zucchero, siero di latte, lattosio o estratto di lievito spesso aggiunti per migliorare consistenza e sapore, ma nulla hanno a che vedere con la ricetta originale di un risotto. Un altro aspetto che fa riflettere riguarda la quantità reale degli ingredienti principali.
Nel classico risotto ai funghi porcini, ad esempio, la percentuale di funghi può scendere al 2%. E spesso non si tratta nemmeno di porcini italiani, ma di varietà miste o provenienti da Paesi dell’Est Europa, più economici ma di qualità inferiore. Il risultato è un piatto dal sapore intenso solo in apparenza, ottenuto grazie a miscele di aromi e additivi che simulano il gusto del cibo fresco.
Il consiglio degli esperti è chiaro: leggere sempre l’etichetta. Pochi ingredienti, nomi riconoscibili e l’assenza di sigle o termini generici come “grassi vegetali” o “aromi” sono segnali di maggiore qualità. Meglio preferire prodotti con un contenuto di vendita ridotto e, se possibile, ingredienti naturali disidratati.
