La colazione è spesso definita come il pasto fondamentale per iniziare la giornata con energia, ma diversi alimenti comunemente consumati al mattino, soprattutto i cereali industriali, possono rappresentare una fonte di esposizione a sostanze chimiche potenzialmente pericolose. Secondo una recente indagine, su oltre 2.000 campioni di cereali prelevati in diversi Paesi europei sono stati rilevati 65 tipi di pesticidi, con livelli di contaminazione che variano in base alla lavorazione e al tipo di cereale.
Contaminazioni diffuse nei prodotti da colazione
I dati raccolti nel corso del 2023 mostrano come il 37% dei cereali analizzati presenti almeno un residuo chimico riconducibile a pratiche agricole intensive. Tra tutti, il frumento è risultato il più contaminato, con una presenza di pesticidi in 9 campioni su 10. Molto più contenute, invece, le tracce rilevate in cereali come segale e farro, spesso utilizzati in colture meno intensive o in filiere più controllate.
La contaminazione è risultata più elevata nei prodotti trasformati, come farine, pane e fiocchi d’avena, rispetto ai cereali grezzi. Una differenza che secondo gli analisti potrebbe essere legata sia all’accumulo di residui nei passaggi industriali, sia alla maggiore concentrazione di ingredienti derivati da materie prime trattate. Il problema riguarda quindi non solo la qualità del grano, ma anche i processi industriali a cui vengono sottoposti i prodotti prima di arrivare sugli scaffali.

Nel contesto della colazione quotidiana, l’esposizione non si limita quindi al consumo occasionale: chi consuma abitualmente cereali lavorati potrebbe accumulare quantità rilevanti di residui, specialmente se si tratta di prodotti non biologici o non sottoposti a controlli rigorosi.
Clormequat: il regolatore di crescita sotto osservazione scientifica
Tra le sostanze che hanno destato particolare preoccupazione c’è il clormequat, un regolatore di crescita utilizzato soprattutto nelle coltivazioni di avena, orzo e grano. Il composto, impiegato per controllare l’altezza delle piante e facilitare la raccolta meccanica, è stato rilevato nelle urine dell’80% dei soggetti testati in un recente studio condotto negli Stati Uniti. I risultati, diffusi dall’Environmental Working Group, sollevano interrogativi sulle possibili conseguenze a lungo termine sull’organismo umano.
Il clormequat è ancora ammesso nei sistemi agricoli di Europa, Canada e Regno Unito, ma diversi ricercatori hanno evidenziato possibili effetti sul sistema riproduttivo, sia maschile che femminile. Le indagini preliminari parlano di un impatto sulla motilità degli spermatozoi e sul corretto sviluppo fetale, in caso di esposizione elevata. Al momento non esistono divieti, ma il dibattito sulla sicurezza d’uso resta aperto e soggetto ad approfondimenti scientifici in corso.
La presenza di queste sostanze, spesso invisibile al consumatore, impone una riflessione sull’origine dei prodotti che finiscono nel piatto, specialmente quando si tratta di abitudini alimentari ripetute come la colazione quotidiana. Se l’etichetta non specifica la provenienza o l’eventuale certificazione bio, è difficile per il consumatore valutare il reale rischio a cui si espone.