Il riso in bianco, soprattutto in inverno, è una delle preparazioni più comuni in cucina: semplice, veloce e spesso associata a momenti di leggerezza o convalescenza. Ma dietro quella semplicità apparente si nasconde una scelta precisa: non tutti i risi si comportano allo stesso modo e non tutti sono adatti a ottenere un piatto con chicchi sgranati, profumati e ben cotti. Per non ritrovarsi con un composto colloso e piatto, è fondamentale capire quali varietà preferire e come gestire la cottura. Lo chiarisce una recente analisi dell’Ente Nazionale Risi, che spiega cosa determina davvero la riuscita del piatto più essenziale del nostro repertorio gastronomico.
Perché l’amilosio fa la differenza e come cambia la cottura
Tra i tanti elementi che compongono il chicco di riso, uno si rivela decisivo: l’amilosio. Si tratta di un tipo di amido a catena lineare che incide sulla tenuta in cottura e sulla capacità del chicco di rimanere separato. Il riso è composto per l’80% da amido, ma questo si divide in due forme: amilosio e amilopectina. Quest’ultima, con struttura ramificata, tende a rilasciare molto amido in acqua, rendendo il riso più colloso. È la base ideale per sushi, zuppe dense, dolci e preparazioni dove la cremosità è un valore.

Ma per un riso in bianco ben sgranato, è l’amilosio che conta: le varietà che ne contengono di più mantengono la forma, non collassano durante la cottura e si prestano a essere condite con burro o olio senza diventare pastone. Alcune varietà, come Apollo, Fragrance, Iarim, sono note per questa capacità e regalano anche un profumo naturale che ricorda i chicchi orientali. Sono risi coltivati in Italia, inseriti nella categoria “lunghi B”, e fanno parte di una tradizione moderna che guarda alla qualità sensoriale.
Un’altra opzione valida, anche se meno comune, è rappresentata dalle varietà integrali pigmentate: risi con pericarpo rosso o nero, come Venere, Ermes, Nerone o Solitario, che combinano valori nutrizionali elevati e tenuta in cottura.
Le varietà classiche e la confusione al supermercato: cosa leggere in etichetta
Quando ci si trova di fronte agli scaffali del supermercato, distinguere le varietà può essere più difficile di quanto sembri. La legislazione italiana oggi consente una differenziazione importante: i pacchi che riportano la dicitura “classico” contengono una sola varietà storica controllata. È il caso di risi come Arborio, Carnaroli, Baldo, Roma, Vialone Nano, che vengono certificati dall’Ente Risi come non miscelati e coerenti con la loro origine genetica.
Esistono poi le “varietà moderne”, etichettate come Arborio o Carnaroli ma in realtà appartenenti a ibridi simili, come Aleramo, Generale, Poseidone, e altre che, pur garantendo un risultato simile, non corrispondono alla varietà classica. Infine, ci sono le “generiche”, classificate in base alla dimensione del chicco: lungo A, lungo B, medio o tondo. In queste categorie non c’è una vera garanzia sulla qualità, ma è possibile comunque individuare alcune varietà utili se si sa cosa cercare.
Per un riso in bianco, le varietà “lungo B” restano le migliori. Sono pensate per insalate fredde o piatti asciutti e resistono bene alla bollitura. Alcune rilasciano anche un intenso aroma naturale, che ricorda il mais tostato o il pop-corn: un dettaglio che arricchisce un piatto altrimenti neutro.
Durante la cottura, è bene usare 1/2 litro d’acqua per ogni 100 grammi di riso, salare solo dopo l’ebollizione e cuocere a fuoco dolce per 15-16 minuti, fino a ottenere un chicco che oppone una leggera resistenza al morso. A quel punto si può scolare e condire con burro o olio extravergine, e una spolverata generosa di parmigiano grattugiato.
Il consiglio finale: quando scegliete il riso per una preparazione semplice, evitate le scelte casuali. La differenza tra un buon riso bianco e uno mediocre dipende tutta dalla varietà, che va cercata con attenzione leggendo le confezioni e riconoscendo le sigle e i marchi di garanzia. Un gesto piccolo che cambia davvero il piatto.
