Nuove evidenze scientifiche allarmano l’Italia e l’Europa: alti livelli di PFAS sono stati riscontrati in alimenti quotidiani molto amati dagli italiani, come le uova e il pesce.
Secondo un’indagine approfondita condotta dal Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland (BUND), la contaminazione da queste sostanze chimiche perfluoroalchiliche è diffusa soprattutto nei prodotti di origine animale, mettendo in luce un problema ambientale e sanitario di larga scala che richiede interventi urgenti.
La contaminazione da PFAS in uova, pesce e frattaglie
Gli studi del BUND, comparati con i dati dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), hanno evidenziato un quadro preoccupante: il 69% del pesce analizzato e oltre la metà dei molluschi e degli organi animali, come il fegato, contengono livelli significativi di PFAS. Ancora più rilevante per i consumatori è la scoperta che quasi il 40% delle uova testate presenta tracce rilevabili di queste sostanze, definite come “sostanze eterne” per la loro persistenza nell’ambiente.
Le uova analizzate, 22 in totale tra allevamenti industriali e piccoli produttori, hanno mostrato una contaminazione in 14 casi, segno di una presenza diffusa di PFAS nella catena alimentare animale, a differenza dei vegetali, nei quali la contaminazione è risultata molto più limitata (solo il 7%). A conferma della portata del problema, anche alcune bevande analizzate dal Salvagente, come le cole, le aranciate e i tè freddi, hanno evidenziato la presenza di PFAS.
Attualmente, per quattro tipologie di PFAS sono stati stabiliti dei limiti legali. I risultati del laboratorio incaricato dal BUND indicano che, almeno per le uova, tali limiti non sono stati superati. Tuttavia, la vera criticità riguarda i PFAS non regolamentati, come l’acido perfluorobutanoico (PFBA), frequentemente riscontrato nelle analisi. Questo evidenzia un grave vuoto normativo: la legislazione copre solo una parte del problema, mentre molte altre sostanze di questa famiglia altamente persistenti e potenzialmente nocive non hanno ancora limiti ufficiali.

I PFAS sono una vasta famiglia di composti chimici utilizzati nell’industria per la loro capacità di resistere a acqua, grassi e oli. Per questo motivo si trovano in una moltitudine di prodotti, dalle padelle antiaderenti agli imballaggi alimentari, dai cosmetici ai tessuti tecnici, fino a farmaci e dispositivi medici. La loro caratteristica più problematica è la loro estrema resistenza alla degradazione: si accumulano nell’ambiente, nei suoli, nelle acque e negli organismi viventi, compreso l’uomo, dove permangono per decenni. Numerosi studi scientifici indipendenti hanno collegato l’esposizione ai PFAS a diverse patologie gravi.
Tra queste figurano problemi di fertilità, disfunzioni tiroidee, diabete, obesità, alterazioni del metabolismo lipidico, ridotta efficacia dei vaccini, danni epatici e un aumento del rischio di tumori ai reni, ai testicoli e al seno. Alcuni PFAS, già vietati, sono riconosciuti come tossici per la riproduzione, sottolineando la gravità del problema. Janna Kuhlmann, esperta di chimica del BUND, sottolinea il valore simbolico e pratico delle uova come indicatori di contaminazione ambientale: “Le uova sono un termometro affidabile della presenza di sostanze persistenti nell’ambiente che ci circonda”. L’allarme lanciato dall’associazione è chiaro: la diffusione dei PFAS non sta rallentando, anzi continua ad aumentare.
Per il BUND la soluzione è un divieto immediato e totale. L’associazione chiede che entro il 2025 venga vietato l’uso dei PFAS nei beni di consumo e che entro il 2030 sia completamente chiusa la produzione e l’utilizzo di queste sostanze in Europa. Interventi parziali e regolamentazioni frammentarie non sono più sufficienti di fronte a un problema globale e complesso. Serve un piano europeo coordinato, con regole uniformi per tutti i Paesi membri, per garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente.
Non a caso, Germania, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi e Norvegia stanno spingendo insieme per un’azione comune da parte di Bruxelles, consapevoli che la lotta contro i PFAS richiede una risposta unitaria e risolutiva a livello continentale.