La parola scottona è ormai entrata nel linguaggio comune, tanto da comparire nelle lavagne delle macellerie, nei menu dei ristoranti e persino nelle pubblicità dei supermercati. Per molti consumatori rappresenta una garanzia di qualità, quasi fosse un marchio registrato. In realtà, dietro questo termine c’è una classificazione tecnica che riguarda età, sesso e stato fisiologico dell’animale, e che nulla ha a che vedere con razze particolari o metodi di allevamento. La sua diffusione è dovuta a un intreccio tra tradizione gastronomica e strategie di marketing, con un effetto immediato: rendere la scottona una delle carni più richieste in Italia.
Cos’è davvero la scottona e perché la carne è così tenera
Con scottona si indica una giovane femmina di bovino, di età compresa generalmente tra 15 e 22 mesi, che non ha mai partorito. Questo dettaglio biologico ha conseguenze dirette sulla qualità delle carni. Gli animali che non hanno affrontato il parto presentano infatti una muscolatura più morbida e una marezzatura equilibrata, cioè una sottile infiltrazione di grasso tra le fibre che in cottura rilascia sapore e mantiene la carne succosa. La definizione non è legata a una razza precisa: razze come Chianina, Piemontese o Limousine possono produrre scottona di pregio, ma ciò che conta è l’età e la condizione dell’animale. Questa classificazione è regolata dalle normative europee, che stabiliscono i parametri di macellazione.

Dal punto di vista organolettico, la carne di scottona si distingue per alcune caratteristiche riconoscibili: tenerezza elevata, colore rosso brillante, grasso bianco o rosato e un gusto equilibrato, meno delicato del vitello ma meno intenso del bovino adulto. Proprio questo equilibrio la rende molto apprezzata, sia dai professionisti della ristorazione sia da chi cucina in casa. Negli ultimi anni, però, il termine ha superato i confini tecnici, trasformandosi in una vera etichetta commerciale. Molti consumatori associano automaticamente la parola scottona a qualità superiore, anche se in assenza di controlli stringenti non sempre il prodotto corrisponde alle aspettative. È il segno di come un concetto tecnico possa diventare leva di marketing, perdendo in parte la sua definizione originaria.
Dalla griglia al brasato, come usare al meglio la carne di scottona
Uno dei motivi per cui la scottona si è affermata così velocemente nelle cucine italiane è la sua grande versatilità. I tagli più pregiati – filetto, controfiletto e costata – danno il meglio con cotture rapide, come griglia o piastra. La carne, già morbida di per sé, non richiede lunghe preparazioni: bastano pochi minuti per ottenere una bistecca succosa o una tagliata servita con rucola e parmigiano. La tenerezza naturale permette di esaltare il sapore senza ricorrere a condimenti invasivi.
Ma la scottona non è solo carne da griglia. Tagli come fesa, noce o cappello del prete risultano ideali per piatti più elaborati: arrosti, brasati e spezzatini che richiedono tempi lunghi. In queste preparazioni, la carne assorbe aromi e mantiene una consistenza piacevole, senza indurirsi o diventare fibrosa. Anche sotto forma di macinato, utilizzato per hamburger o ragù, la scottona si distingue: la giusta quantità di grasso intramuscolare garantisce morbidezza e sapore, rendendo ogni preparazione più ricca. La sua forza sta proprio in questo equilibrio: una carne che chiede poco e offre molto, capace di adattarsi alle esigenze di chi cucina in casa come a quelle degli chef professionisti. Non è un caso che sia diventata simbolo di qualità, anche se a volte utilizzata come slogan pubblicitario.