Nel piccolissimo e remoto villaggio di Lula, in Sardegna, è possibile assaggiare la pasta più antica del mondo: il filindeu (letteralmente vello di dio). Non solo questa rarissima leccornia è reperibile solo due volte all’anno, precisamente durante la festa di San Francesco celebrata a Lula il 4 ottobre e il primo maggio, ciò che la rende una vera e propria esperienza per il palato è il fatto che siano rimaste solo tre donne al mondo a detenere l’antichissima ricetta, che pare avere più di 200 anni.
Moltissima storia, un tremendo fascino, ma solo tre ingredienti: farina di semola, acqua e sale. La preparazione del piatto finito è altrettanto semplice: un brodo di pecora condito con abbondante pecorino. Quello che non sembra in alcun modo replicabile è la preparazione di questa antichissima pasta, Paola Abraini, una delle tre donne che custodisce il segreto del filindeu, ha dichiarato alla BBC (ebbene sì, il mito di questa ricetta nascosta ha oltrepassato la manica): “Molti pensano che io abbia un segreto che non voglio rivelare, ma il mio segreto è qui davanti a voi: sono le mie mani” stando alle parole di questa donna, non ci sono procedimenti particolari quello che conta è: “Capire l’impasto con le mani“.
Tradizioni
In molti si sono interessati a questa antichissima ricetta: qualche anno fa la Barilla ha spedito una delegazione presso Noro a studiare la tecnica di Paola ma, a giudicare dagli scaffali dei supermercati, lo studio non ha dato esiti commerciali. Anche la spuer star dei fornelli Jamie Oliver ha dovuto inchinarsi alla sapienza delle mani di Paola, dopo due ore di tentativi ha dovuto ammettere: ““ho fatto pasta per più di vent’anni, ma non ho mai visto una cosa come questa!”.
Sembra facile ma non lo è
“E’ come un gioco con le mani, una volta che l’hai capito la magia è fatta” queste sono le parole di Paola per descrivere l’antico, irrepricabile procedimento per ottenere questa rara leccornia. Si parte dal dare la forma di un cilindro stretto e lungo all’impasto, lo si fa passare tra le dita di entrambe le mani piegandolo su sè stesso fino a dividerlo in piccoli filamenti; il procedimento va ripetuto più volte, e ogni volta i filamenti saranno più sottili, fino ad ottenere 256 “spaghetti” da un etto d’impasto. Questi fili di pasta vengono disposti in tre strati incrociati su un canestro circolare di foglie di asfodelo essiccate e successivamente messi ad asciugare al sole, finchè i tre strati non si compattano in un’unica sfoglia a rete, che una volta spezzata diventa l’ingredente principale del piatto della festa di san Francesco.